Cenni storici
Scissa in fazioni rissose, raccolte all’ombra di un nome potente o di una torre gentilizia, la città di Ascoli – cupida preda di tirannelli locali – si logorava in un insano regime di odio e di turbolenza, nella cui fosca atmosfera, le astiose guerriglie della implacabile rivalità con le Terre vicine si alternavano ad impeti di civica sopraffazione e sanguinarie imprese di vendetta.
Sul cadere di quel vespero, solenni e purpurei riflessi del sole in tramonto s’accendevano di truci lampeggiamenti d’armi e di armati che mutavano la mistica soavità della festa cristiana nell’orrore e nel lutto di una tragedia.
Il tumulto cittadino, scatenatosi per fatti connessi col contrastato dominio di Castignano, raggiunse la sua fase più acuta e cruenta in Piazza del Popolo.
Da una parte erano i Malaspina, i Parisani coi loro seguaci, ribelli al governo e fautori del famigerato Astolfo Guiderocchi, reo di assassinio nella persona del cospirato castignanese Michele Recchi; dall’altra gli Anziani, i Ciucci, i Falconieri, la corte e la birreria agli ordini del Commissario Giambattista Quieti di Modena inviato dal Papa Paolo III a rimettere le cose a posto.
La mischia tremenda terminò con la disfatta dei rivoltosi, dei quali alcuni trovarono scampo nel Palazzo del Popolo e altri si dispersero fuggendo.
Si tentò pertanto di penetrare nell’improvvisata rocca di rifugio per avere ragione espiatoria di quanti vi si erano asserragliati; ma riuscito vano ogni sforzo, il Commissario Quieti, perduta la quete, cedè ad un deplorevole impulso di rappresaglia ordinando che si appiccasse il fuoco al Palazzo, che in breve si trasformò in un rogo triste e spaventoso. Quando l’elemento invasore avea spinto i rinchiusi a guadagnare i tetti vicini con acrobazie eccezionalmente pericolose ma sempre preferibili all’atrocità della combustione, allora il popolo irruppe nell’interno dell’edificio per procedere allo spegnimento dell’immane braciere.
Tra le fumanti rovine e le ceneri calde del superbo monumento, una visione inattesa gettava lo stupore nell’animo di tutti.
Il Crocifisso di legno posto a capo della Sala più grande, troneggiava ancora intatto con le braccia amorosamente distese, unico segno di vita e di perdono in mezzo alle tracce desolanti dell’odio, dello sterminio, della morte. A quell’evidente miracolo, fu quell’immagine portata da alcuni assennati cittadini nella vicina chiesa di San Francesco.
Esposto il Crocifisso all’altare maggiore del tempio, per lo spazio di oltre un’ora versava vivo sangue dalla Piaga del Costato. L’effusione si rinnova per ben tre volte alla presenza di innumerevoli testimoni tra cui il Vicario vescovile, i Religiosi francescani, i Padri domenicani di San Pietro Martire, ed il celebre pittore Cola d’Amatrice, i quali, fatto un diligente esame, vennero a conchiudere essere quello vivo e vero sangue miracoloso.
Un tanto prodigio richiamò tosto il popolo di Ascoli e dintorni nel grandioso tempio francescano. Grida, pianti, preghiere, fremiti di commozione esplodevano dinanzi al divino Simulacro, formando un’atmosfera incandescente di fede e di pietà, in cui due grandi invocazioni si affermavano come il bisogno più sentito dell’anima collettiva: Misericordia e Pace.
Fra le braccia del Cristo, incolume e vittorioso in mezzo alle rovine, gli Ascolani avevano ritrovato il tesoro dell’unità e della civica concordia. Spento il fuoco micidiale dell’odio, si era accesa la fiamma vitale della carità. A tumulto e a ripetute grida di popolo furono richiamati tutti i banditi, assicurati i sospetti, liberati i prigionieri e rimessa la città in concordia.
Il prodigioso Simulacro, esposto ora alla pubblica venerazione nel maggior monumento della pietà ascolana, in quest’ora di trepidazione, parla di amore, di vita, di pace e di vittoria.
Ricolleghiamoci alla fede degli Avi nostri e ridestando il culto al Martire Divino nella pratica più fedele della sua dottrina e dei suoi esempi, riprendiamo in quest’ora solenne della nostra storia l’invocazione commossa dei padri, il grido dell’umiltà che si converte in certezza di aiuto e di trionfo: Misericordia e Pace.
Preghiera
O Gesù, che per il tuo ardentissimo amore verso di noi hai voluto essere crocifisso e versare il tuo preziosissimo Sangue a redenzione e salvezza delle anime nostre, riguarda a noi qui raccolti nel ricordo della tua dolorisissima Passione e Morte, fiduciosi nella tua misericordia; purificaci, con la tua grazia, dal peccato, santifica il nostro lavoro, dona a noi ed ai nostri cari il pane quotidiano, addolcisci le nostre pene, benedici le nostre famiglie e concedi ai popoli, afflitti da dure prove, la tua pace che solo è la vera, affinché, obbedendo ai tuoi precetti, perveniamo alla gloria celeste.
Così sia.
+ M. Morgante, Vescovo – Ascoli Piceno, 4 ottobre 1962
Inno al crocifisso
Re divino che in carne mortale
sceso a noi dal tuo trono di gloria
trionfasti con l’alta vittoria
su la colpa e la morte e il dolor.
(*) Regna, regna sui cuori e sul mondo,
Re dei re, crocifisso Signor!
Re d’amore! Pel nostro riscatto
non sdegnasti il patibolo atroce!
E per trono scegliesti la Croce
e per legge a noi desti il tuo Cuor!
Re dolente! E’ di sangue il tuo manto,
è di spine il tuo serto regale!
ma tuo dono è la vita immortale,
e tuo dolce tributo è l’amor!
Re soave! Il tuo verbo d’amore
è la luce che svela la vita;
il tuo regno è la gioia infinita
che non mente e non trema e non muor!
Re supremo! Ogni gente è tuo regno!
Ogni cuore, ogni mente è tuo trono.
Deh! Richiama gli erranti al perdono!
Degli ignavi deh! Scuoti il torpor!
(*) Si ripete dopo ogni strofa
(Con approvazione ecclesiastica)