Calice
Il calice, in argento massiccio bulinato e cesellato, poggia su base mistilinea fittamente decorata con riccioli, volute e teste di cherubini tra le quali sono disposte le figurine di S.Antonio col Bambino, di S.Francesco con croce e messale e di S.Bonaventura con cappello cardinalizio, libro e penna. Il fusto è costituito dalla figura della “Fede”, a mò di cariatide, riccamente panneggiata e con in mano una croce d’argento dorato liscio. Questa figura sorregge la coppa del calice che ha, nella parte inferiore, una ricca decorazione a traforo, con ricci, volute, 3 teste di cherubini, 3 angeli con tromba, martello e tenaglie, che lascia intravedere il corpo liscio della coppa in argento dorato. Non vi sono bolli.
Oggetto pregevolissimo dall’elegante disegno e di precisa esecuzione in ogni dettaglio. La sua fattura può essere riferita ad atelier di orafo, forse marchigiano, attivo nella prima metà del sec. XVIII, per la palese presenza di molti stilemi barocchi.
Il calice è confrontabile con altro di analoga fattura conservato presso la Santa Casa di Loreto.
Reliquiario del Sangue di San Francesco
Il reliquiario, in lamina d’argento sbalzata e bulinata su supporto ligneo, in siste su di un piede triangolare mistilineo, con peducci a ricciolo e teste di cherubino ed altri motivi quali festoni floreali, volute e, al centro, entro uno scudo a cartiglio, è raffigurato San Francesco inginocchiato che riceve le stimmate. Lo stelo è formato da un angelo panneggiato, a mò di cariatide, con le braccia conserte al seno che posa sulla nuvole. La teca, all’interno della quale due piccoli angeli adorano l’ampolla del sangue, è riccamente incorniciata da gigli, fiori e festoni e da una raggiera dorata. Sulla sommità insiste una croce raggiata.
Il reliquiario, per conservare il sangue di San Francesco, venne commissionato dal padre guardiano dei Minori Conventuali della chiesa di San Francesco in Ascoli, P.Giovanni Virgilio Pacifici di Monterubbiano, all’artista Pietro Gaia ascolano (1570-1621) come attestano i documenti di archivio (cfr. G.Fabiani, Ascoli nel 500, II, p.239). Il Gaia, pur essendo noto più per la sua produzione artistica come pittore che come orafo, fu attivo in Ascoli sul finire del 500. Egli si qualifica, in tutte le sue opere, accurato esecutore di ogni commissione affidatagli pur non distinguendosi per una particolare genialità. Nel presente reliquiario il Gaia desume, per la sua creazione, stilemi tardomanieristici e li applica, compositivamente, con perizia più che per eleganza e, per la precisione della sua esecuzione, testimonia il buon livello qualitativo dell’oreficeria ascolana ricca di grandi tradizioni trecentesche e quattrocentesche.
Il Reliquiario viene esposto il 4 ottobre, festa di San Francesco, entro una nicchia sita nella I° cappella del transetto destro sopra una piccola base di legno dorato.
Reliquiario della 'Santa Croce'
Il reliquiario, in rame sbalzato e bulinato, consta di un’edicola sorretta da una base mistilinea ovoidale e piede con nodo a 4 dischi smaltati con le figure dei 4 Evangelisti con cartigli su fondo azzurro e tracce di colore verde e rosso. Il piede è decorato con girali vegetali. L’edicola è formata da 4 colonnine tortili sorreggenti il tetto tra 4 guglie e 4 frontoncini triangolari che insistono su archi trilobi sui quali, in smalto, vi sono le scene della “Crocefissione” (fondo blu e tracce di colore verde, giallo e rosato) con Maria e Giovanni Ev.; la “Resurrezione” con i soldati addormentati vicino al sepolcro; S.Marco con il leone; ed il Vangelo; S.Giovanni Ev. con l’Aquila. La cornice superiore dei timpani e gli spigoli del tetto sono decorati con motivi vegetali. Il tetto è sormontato da un quarzo ovoidale, inserito entro una raggiera fiammata, sul quale, in rame, vi è in trasparenza il cristogramma in caratteri gotici. Entro l’edicola è conservata, entro una teca cruciforme, saldata ad un supporto di metallo a forma di croce lobata tra due angeli inginocchiati ed una raggiera con coralli, con castoni entro i quali sono pietre d’imitazione – un frammento della Santa Croce.
Il reliquiario, contenente un frammento della Santa Croce – donata, secondo il Ciannavei al Convento dei Francescani da papa Nicolò IV (1288-1292) – veniva conservata in sacrestia, Orsini e, come attestano il Lazzari ed il Frascarelli, veniva esposta al pubblico nel 2° altare della tribuna nord. Il Bertaux, che fu il primo a studiare il reliquiario, lo ritenne opera di orafo marchigiano contemporaneo di Pietro Vannini (Ascoli 1413c.-1496) ed artisticamente inferiore al grande maestro. In ogni modo l’ignoto orafo che eseguì questo reliquiario subì profondamente l’influsso del Vannini pur non eguagliandone l’eleganza e l’esecuzione.
Tipologicamente il presente reliquiario si può accostare a quello della Santa Croce conservato nella Chiesa di San Michele Arcangelo ad Appignano del Tronto, che presenta lo stesso schema architettonico e analogia di fattura così come quello di Castignano, presso Offida. Pertanto, a livello d’ipotesi, l’orafo che eseguì il presente reliquiario potrebbe essere identificato con quel “Valerius F” che firmò il reliquiario di Appignano, il più vicino stilisticamente al nostro.
Nonostante le manomissioni posteriori al sec. XV, quali l’aggiunta del supporto per la teca con i relativi orpelli, il presente reliquiario è opera pregevolissima di orafo certo marchigiano che attesta l’alto livello artistico che raggiunse l’oreficeria marchigiana nel XV sec., ad opera del Vannini e dei suoi epigoni, la quale si qualifica con manifesti riferimenti a stilemi tardo medioevali accanto ad aggiornamenti quattrocenteschi e reminiscenze di oreficeria abbruzzese.
Relazione tecnica del restauro
La preziosa reliquia è stata donata alla Chiesa di San Francesco dal Papa ascolano Nicolò IV. Il reliquiario, piccolo gioiello d’arte del sec. XV, assai deteriorato nel corso di questi secoli, è stato accuratamente restaurato dalla sig.ra Saskia Giulietti di Firenze, che ci ha rilasciato questa relazione: quanto la restauratrice dice ci fa meglio capire ed apprezzare la preziosità dell’oggetto.
“Il reliquiario, a forma di piccolo tempio, è un gioiello tardogotico assai prezioso non solo per la ricchezza dei materiali in esso profusi: spessa lastra d’argento, dorature e smalti traslucidi ma in special modo per la qualità, alta, della tecnica orafa che realizza per la complessa costruzione e l’elegante decorazione in una gamma assai modellata di varietà: dalla fusione nelle cuspidi delle colonnine che sostengono il tettuccio del tempio allo sbalzo negli elementi che compongono la base, dalle incisioni su tutte le superfici lisce al traforo, dall’intaglio a rilievo “stiacciato” delle lastre smaltate alla successiva cottura delle paste vitree traslucide e colorate.
Il tempo, l’uso, la delicatezza di alcuni materiali che d’altra parte rendono leggera e preziosa la costruzione del reliquiario, ne hanno determinato un progressivo decadimento: l’opacizzazione delle dorature, la caduta di alcune parti, la sconnessione dello ingegnoso incastro che tiene insieme l’alto numero dei pezzi (n.32 tra la base ed il tempio compreso gli smalti), l’alterazione delle fragili paste vitree.
Un lungo e paziente restauro ha potuto porre rimedio almeno ad una parte di questi danni causa a loro volta di un ulteriore degrado. È stato necessario smontare il tempietto e la sua base fino all’ultimo pezzo (dalle cuspidi al cristallo di rocca, ai singoli grani di corallo): questo per pulire ciascuna parte anche dall’interno e poter poi provvedere alle numerose riparazioni indispensabili per conferire nuovamente alla costruzione l’originaria solidità e l’immagine di un manufatto completo, nel suo aspetto, e quindi ancora prezioso.
La parte più lunga dell’intervento è stata infatti la riparazione meccanica, riutilizzando spesso la tecnica orafa originaria, con lavoro di intaglio, di lima, di microsaldatura, di ricostruzione di piccoli elementi come chiodi, viti, cornicette, etc..
Dopo la ricostruzione il reliquiario è stato protetto nella sua superficie per mantenere nel tempo la lucentezza del metallo; gli smalti non è stato possibile ricostruirli ma la pulitura ha riportato in luce la bellezza dell’incisione, oggi nuovamente godibile specialmente nei quattro timpani del tempietto, che l’ossidazione dell’argento aveva annerito e nascosto.“
Bibliografia, Inventari:
- T.LAZZARI – Ascoli in prospettiva, Ascoli 1724, p.55
- B.ORSINI – Descrizione delle pitture, Perugia 1790, p.114
- G.I.CIANNAVEI – Compendio di memorie, Ascoli 1797, p.243
- G.FRASCARELLI – Memorie, Ascoli 1885, p.64
- E.BERTAUX – Ascoli Piceno et l’Orfèvre Pietro Vannini, in Mélanges d’Archeologie et d’Histoire, Ec.Fr.de Rome, XVII, 1897, pp.79-86
- L.SERRA – L’Arte nelle Marche, I, Pesaro 1929, p.346 nota 27
- L.SERRA – Elenco delle opere d’arte mobili delle Marche, in Estratto dalla Rass.March., 1925, p.73
- Inventario degli oggetti d’arte d’Italia, vol.8°, Roma 1936, pp.227-228, fig.p.227
- L.LEPORINI – Ascoli Piceno, guida, Ascoli 1954, p.71
- A.RODILOSSI – Guida per Ascoli, Teramo 1973, I° ed., p.89
- A.RODILOSSI – Guida per Ascoli Piceno, Teramo 1975, 2° ed., p.68